Minatore cegliese in Belgio nel 1951
Il famoso accordo del 1946 non era il primo protocollo siglato tra Italia e Belgio per l'impiego di minatori italiani. Un'analoga intesa era infatti già stata firmata tra i governi dei due Stati nel più lontano 1922. Ma la vera e propria “battaglia del carbone” fu lanciata soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Il Belgio disponeva, infatti, di ingenti risorse minerarie, ma di manodopera insufficiente. L'Italia, al contrario, aveva urgente bisogno di carbone e si trovava in una situazione molto difficile per quanto riguardava il lavoro. La disoccupazione e la miseria rendevano insopportabile la vita alla maggior parte della popolazione, soprattutto dei ceti sociali più deboli. L'industria nazionale era in ginocchio e le campagne, dal Veneto alla Sicilia, versavano in condizioni di estrema povertà e indigenza. Per milioni d'italiani la via dell'emigrazione era la sola prospettiva di riscatto umanamente possibile.
il 23 giugno 1946 Italia e Belgio firmarono quindi un accordo che prevedeva la destinazione di cinquantamila operai italiani alle miniere del Belgio. In cambio, il Belgio s'impegnava a vendere all'Italia, mensilmente, un minimo di 2500 tonnellate di carbone ogni 1000 operai inviati.
Per convincere gli operai italiani a lasciare il proprio paese, apparsero un po' in tutta Italia allettanti manifesti rosa della Federazione Carbonifera Belga, che presentavano unicamente gli aspetti positivi e vantaggiosi di questo lavoro: salario medio giornaliero, assegni familiari, ferie, premi di natalità, alloggio e carbone gratuiti, ecc.
Il manifesto si concludeva con un invitante appello:
“Approfittate degli speciali vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Il viaggio dall'Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori italiani firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall'Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d'uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.
Il viaggio da Milano durava in pratica due giorni. Si partiva da Milano il lunedì mattina, si viaggiava tutto il lunedì e si arrivava in Belgio nel pomeriggio del martedì. Circa mille persone viaggiavano su ogni treno. Per quasi tutti era il primo viaggio di una certa importanza, o il primo in assoluto, un viaggio decisamente poco confortevole, specialmente quando si attraversava la Svizzera. Al passaggio per la Svizzera, infatti, per un certo tempo i vagoni venivano chiusi e il treno proseguiva senza nessuna fermata fino a Basilea, per non rischiare di perdere qualche passeggero lungo il tragitto. Le ragioni erano comprensibili: considerato che la Svizzera era una meta ben più ambita del Belgio, anche perché più vicina, molti sognavano di scendere e di fermarsi lì. Dopo Basilea i vagoni potevano di nuovo essere aperti, poiché nessuno voleva scendere in Francia. Le visite mediche d'idoneità al lavoro venivano sbrigativamente svolte durante il viaggio. Per il resto, sui treni non c'era praticamente alcun tipo d'assistenza.
Alla stazione centrale di Bruxelles, lunghi convogli ferroviari scaricavano gli uomini, stanchi, con i loro abiti semplici e con pochi effetti personali al seguito, molti dei quali non fecero mai ritorno al proprio paese.
A Bruxelles cominciava lo smistamento verso le differenti miniere, tenendo conto, nei limiti del possibile, delle affinità familiari. Gli interpreti e i delegati delle miniere regolavano alcune formalità essenziali e qualche problema personale.
In autobus o ancora in treno, gli uomini venivano poi accompagnati nei loro “alloggi”: le famose cantines, baracche insomma, o addirittura nei famigerati hangar, gelidi d'inverno e cocenti d'estate, veri e propri campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra.
Né animali, né stranieri...
La mancanza di “alloggi convenienti”, previsti dall'accordo italo-belga, impediva alla maggior parte dei minatori il ricongiungimento con la propria famiglia. Trovare un alloggio in affitto era infatti quasi impossibile all'epoca. Spesso, sulle porte delle case da affittare i proprietari scrivevano a chiare lettere “ni animaux, ni étranger”: né animali, né stranieri.
È dunque facile immaginare che l'integrazione dei lavoratori italiani in Belgio non era, in quegli anni, facile. Anche nelle miniere, dove peraltro le condizioni di lavoro erano particolarmente dure e insalubri, i rapporti con i minatori belgi non erano facili, poiché gli italiani estraevano in media più carbone e si pensava che fossero, per conseguenza, pagati meglio. La solidarietà tra paesani rendeva il peso del lavoro e delle condizioni di vita un po’ più sopportabile. I minatori italiani provenienti dal Veneto, dalla Sicilia, dall'Abruzzo, e così via, avevano infatti tendenza a riunirsi tra di loro e a parlare in dialetto, secondo la regione e il paese di provenienza.
I più giovani, nella maggioranza dei casi, non avevano alcuna formazione. Il mestiere di minatore s'imparava quindi facendolo, e imitando i più anziani. All'inesperienza di molti si aggiungevano le scarse misure d'igiene e di sicurezza. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovarono così la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d'origine professionale.
La più pericolosa di queste era la silicosi, causata dalle polveri della miniera che, depositandosi sui polmoni, creava insufficienze respiratorie.
I primi sintomi consistevano in una forte tosse, che il più delle volte si manifestava nel primo anno di lavoro, per poi arrivare al punto in cui si “sputavano i polmoni”, come racconta un nostro assistito ex-minatore. Questi uomini, dunque, prima barattati poi sfruttatti e danneggiati, finivano per essere abbandonati a se stessi in gravi condizioni di salute. Terribilmente grotteschi erano anche i rimedi a disposizione dei minatori, tante volte frutto delle dicerie popolari, quali ad esempio l’ingoiare grandi quantità di burro oppure bere tanto latte. Come emerge da alcuni racconti e testimonianze dirette, c’era anche chi il burro lo cospargeva sul proprio viso per non rovinarsi la pelle una volta sceso nel pozzo.
L’alta probabilità di contrarre la malattia era anche dovuta all’infernale contratto che obbligava a lavorare per un minimo di 5 anni solo ed esclusivamente nella miniera, pena l'espulsione dal territorio belga.
Nel frattempo, grazie ai nostri emigrati, la produzione di carbone nelle miniere belghe aumentava vistosamente, con ripercussioni positive su una serie di altre attività, come le industrie siderurgiche e metallurgiche, le vetrerie, le industrie di apparecchiature elettriche e di materiale refrattari. Notevole, quindi, l’apporto dei nostri lavoratori allo sviluppo del territorio belga. Il tutto, a costo d'indescrivibili sacrifici.
In questo contesto, un formidabile fattore d'integrazione fu l'associazionismo sindacale, e in particolare il riconoscimento del diritto di voto agli immigrati stranieri per l'elezione delle cariche sociali, che venne introdotto per la prima volta in Belgio nel novembre del 1949, anche se con molte restrizioni. Benché inizialmente il diritto di voto fosse soltanto passivo, e non consentiva quindi di essere eletti, questa prima forma di partecipazione alla vita interna all'azienda, fino a quel momento sconosciuta alla quasi totalità dei nostri lavoratori, rappresentò un formidabile esercizio di democrazia e un'occasione importante per iniziare a partecipare alla vita politica e sociale belga.
Pino, potrei conoscere la persona in foto???......
RispondiEliminaNon direttamente, ma tramite foto sicuramente!
RispondiEliminaCiao carissima.
Il povero deve patire il padrone sarà sempre il padrone solo in casi rari non è così.
RispondiElimina--Dal 1946 al 1956 il numero dei lavoratori, provenienti dall'Italia, morti nelle miniere belghe e in altri incedenti sul lavoro è di oltre seicento.
--A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti, un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità, soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95; fu una tragedia agghiacciante, i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. --Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!" preso in rete
Ciao Pino l'immagine non la vedo ancora, tornerò poi e grazie buona giornata e riposati. Bacione franca
sullo smemorato ho postato tempo fa qualcosa sulla tragedia di Marcinelle, a proposito dell'emigrazione italiana sto leggendo L'ORDA Gianantonio Stella coautore de LA CASTA. Un libro dai contenuti agghiaccianti.
RispondiEliminaStorie davvero agghiaccianti. La persona nella foto è stata nelle miniere in Belgio solo due anni e mezzo e per questo non ha avuto problemi di silicosi. Ha saputo della tragedia di Marcinelle quando era rientrato a Ceglie. Conosceva molte di quelle vittime avendo lavorato in una miniera vicina. Molte delle persone che lavoravano in Belgio furono contattate dalle autorità belghe per andare a lavorare nelle miniere aurifere dell'allora Congo Belga. Coloro che accettarono finirono dalla padella nella brace perché la polvere d'oro era ancora più letale.
RispondiEliminala tratta dei meridionali del dopoguerra è continuata fino ai primi anni 60 con la connivenza dei governi di allora (i tedeschi ad esempio facevano le selezioni a Napoli - fonte familiare)
RispondiEliminaHo trovato questo articolo davvero molto interessante. Un triste fenomeno che ha visto protagonisti molti uomini. Scelta quasi obbligata per sfuggire alla miseria...O almeno così si credeva.
RispondiEliminaUn caro saluto a tutti Buona domenica ciao Pino.
RispondiEliminaToccante e attuale questo post. La storia tende a ripetersi, peccato che noi italiani abbiamo la memoria corta.
RispondiEliminaQuando ho letto"L'orda, quando gli albanesi eravamo noi"...mi sono chiesta perchè l'italiano medio si sia dimenticato dei suoi viaggi della speranza!?
un caro saluto
angela
cegliesi nel mondo
RispondiElimina[..] Minatore cegliese in Belgio nel 1951 Il famoso accordo del 1946 non era il primo protocollo siglato tra Italia e Belgio per l'impiego di minatori italiani. Un'analoga intesa era infatti già stata firmata tra i governi dei due Stati nel pi&ugrav [..]
Il mio prozio Felice Epicoco è uno degli ex-minatori cegliesi in Belgio. Andò via poco più che trentenne e tornò in Italia 35 anni dopo. Mi racconta sempre delle sue avventure nelle miniere di carbone e della presenza di operai da ogni parte d'Europa.
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