In questi giorni, risistemando la mia libreria, ho trovato un fascio di fogli, scritti a mano, contenente mie annotazioni risalenti ad alcuni anni fa.
Ecco un racconto che mi ha particolarmente colpito:
- Parecchi anni fa, mentre, giovane e spensierato, camminavo per le strade di Ceglie, la mia attenzione fu catturata da una persona che, seduta davanti all'ingresso di una rimessa, si destreggiava con un oggetto tra le mani e un fascio di steli per terra. Quando fui abbastanza vicino, vidi che stava realizzando un panaro. Il signore, che aveva sui sessanta anni, si destreggiava con gli steli intrecciandoli con grande maestria intorno ad un'anima o intelaiatura di rami di ulivo.
Il lavoro era appena agli inizi e preso dalla curiosità mi avvicinai superando la mia normale timidezza. Gli chiesi se potevo guardarlo mentre costruiva il panaro. Lui, molto cordialmente, mi disse che gli faceva piacere se restavo e porgendomi una sedia, mi fece accomodare. Euforico per aver catturato l'attenzione sul suo lavoro, riprese di gran lena a intrecciare gli steli intervallando con delle spiegazioni teoriche il lavoro che eseguiva: "per il fondo vinghje d'alije o sobbacavadd' che crescono sui tronchi di ulivi. Per la parte laterale listelli ricavati dalle canne tagliate longitudinalmente in quattro parti. Le canne devono essere ancora verdi perché sono più elastiche. La chiusura e il manico del panaro viene realizzata con vinghjie d'alije. Un ritocco col coltello alle punte che fuoriescono dall'intreccio e il capolavoro è bell'è fatto."
Con l'orgoglio di chi ha creato un capolavoro me lo porse per farlo ammirare. Era impeccabile, curato nei minimi particolari. Il mio sguardo si fissò principalmente sull'espressione di soddisfazione dell'autore, che ammirava estasiato la sua creatura.
Improvvisamente nella memoria, svegliato da un lungo letargo, riaffiorò il ricordo dell'espressione che aveva mio nonno, che, dopo aver realizzato i suoi oggetti, li faceva ammirare ai familiari presenti e in mancanza di essi, a me che avevo sei anni.
Apparve lucido il ricordo di quando, insieme, andavamo a scegliere le canne, a tagliare i rami di ulivo o le scrasce lunghe fino a tre metri che utilizzava per il fondo dei panari. Mentre lui intrecciava io gli passavo gli steli, poi i listelli di canne e di nuovo gli steli di ulivo.
Tutto questo mi passò per la mente, in pochi istanti, davanti a quel signore. Mi accorsi che conoscevo già la tecnica dei panar, canestr', spurtedd' ...
Lo salutai, grato per quel momento di intensità emotiva e lui cordialmente mi disse di andarlo a trovare altre volte.
Con grande tristezza feci una considerazione: possibile che nella frenesia della nostra civiltà, che predilige la corsa al consumismo ed appiattisce le differenze culturali, non siamo stati capaci di conservare e tramandare un patrimonio di cui dovremmo essere orgogliosi?
Si va perdendo un artigianato che si potrebbe insegnare a scuola nelle ore di artistica.
L'artigianato oltre che rappresentazione materiale delle radici di un popolo è l'espressione primordiale dell'arte in quanto se pur oggetti con finalità di uso comune, emerge da essi una certa impronta estetica che appaga l'occhio di chi guarda. -
Ecco un racconto che mi ha particolarmente colpito:
- Parecchi anni fa, mentre, giovane e spensierato, camminavo per le strade di Ceglie, la mia attenzione fu catturata da una persona che, seduta davanti all'ingresso di una rimessa, si destreggiava con un oggetto tra le mani e un fascio di steli per terra. Quando fui abbastanza vicino, vidi che stava realizzando un panaro. Il signore, che aveva sui sessanta anni, si destreggiava con gli steli intrecciandoli con grande maestria intorno ad un'anima o intelaiatura di rami di ulivo.
Il lavoro era appena agli inizi e preso dalla curiosità mi avvicinai superando la mia normale timidezza. Gli chiesi se potevo guardarlo mentre costruiva il panaro. Lui, molto cordialmente, mi disse che gli faceva piacere se restavo e porgendomi una sedia, mi fece accomodare. Euforico per aver catturato l'attenzione sul suo lavoro, riprese di gran lena a intrecciare gli steli intervallando con delle spiegazioni teoriche il lavoro che eseguiva: "per il fondo vinghje d'alije o sobbacavadd' che crescono sui tronchi di ulivi. Per la parte laterale listelli ricavati dalle canne tagliate longitudinalmente in quattro parti. Le canne devono essere ancora verdi perché sono più elastiche. La chiusura e il manico del panaro viene realizzata con vinghjie d'alije. Un ritocco col coltello alle punte che fuoriescono dall'intreccio e il capolavoro è bell'è fatto."
Con l'orgoglio di chi ha creato un capolavoro me lo porse per farlo ammirare. Era impeccabile, curato nei minimi particolari. Il mio sguardo si fissò principalmente sull'espressione di soddisfazione dell'autore, che ammirava estasiato la sua creatura.
Improvvisamente nella memoria, svegliato da un lungo letargo, riaffiorò il ricordo dell'espressione che aveva mio nonno, che, dopo aver realizzato i suoi oggetti, li faceva ammirare ai familiari presenti e in mancanza di essi, a me che avevo sei anni.
Apparve lucido il ricordo di quando, insieme, andavamo a scegliere le canne, a tagliare i rami di ulivo o le scrasce lunghe fino a tre metri che utilizzava per il fondo dei panari. Mentre lui intrecciava io gli passavo gli steli, poi i listelli di canne e di nuovo gli steli di ulivo.
Tutto questo mi passò per la mente, in pochi istanti, davanti a quel signore. Mi accorsi che conoscevo già la tecnica dei panar, canestr', spurtedd' ...
Lo salutai, grato per quel momento di intensità emotiva e lui cordialmente mi disse di andarlo a trovare altre volte.
Con grande tristezza feci una considerazione: possibile che nella frenesia della nostra civiltà, che predilige la corsa al consumismo ed appiattisce le differenze culturali, non siamo stati capaci di conservare e tramandare un patrimonio di cui dovremmo essere orgogliosi?
Si va perdendo un artigianato che si potrebbe insegnare a scuola nelle ore di artistica.
L'artigianato oltre che rappresentazione materiale delle radici di un popolo è l'espressione primordiale dell'arte in quanto se pur oggetti con finalità di uso comune, emerge da essi una certa impronta estetica che appaga l'occhio di chi guarda. -
Pino caro, pensa che la nonna ancora li sa fare.....
RispondiEliminaDice che quando si riunivano tutti intorno a quelle cannizze, facevano a gara a chi faceva li panàr' chiù bbell!!!
E nel nostrto ripostiglio c'è ancora una sporta di circa 80cm di diametro (enorme!!!) fatta da lei più di 50 anni fa.... chissà se magari amche nonno Pietro la ricorderebbe!!!!
Ne ero certo Rosy, mi sfuggiva il particolare delle gare per il panaro, ma specie dei canestri più belli.
RispondiEliminaGrazie!!!
Nella contrada Natalicchio ancora è possibile ammirare questa tecnica della fabbricazione dei panari. Molte volte andando a fare visita alle Sig.re Nigro ho avuto modo di ammirare la loro maestria.
RispondiEliminaBuona giornata Pino.
dg
Patrimoni culturali da non perdere, in quei capolavori artigianali sono racchiuse le nostre radici.
RispondiEliminasulla mia libreria, ci sono nu panarieddh e nu canishtruddh fatti da mio padre per i miei figli con rametti d'albero flessibili trovati in un parco di Torino, la memoria resiste: fino a quando?
RispondiEliminaDurante le feste di Natale e Capodanno nel centro medievale si trova qualcuno che mostra come intrecciare 'panar∂ ∂ canistr∂'. Per i non cegliesi la 's' davanti alla 't' si pronuncia come 'sc' di scena.
RispondiEliminaAdesso che ho trovato il libro di Sobrero e Tempesta, 'canistr∂' andrebbe a rigore scritto canisc-tr∂ con la sc e il trattino.
RispondiEliminaLe mie radici affondano nell' artigianato, mia nonna Betta tesseva al suo telaio di legno e filava la lana, il lino, e la canapa, mio nonno ebanista, mia zia ricamatrice ,anche mia madre la chiamavano: 'Orgetta dalle mani d'oro', eseguiva preziosi merletti d'irlanda. Nella mia famiglia siamo quattro fratelli e abbiamo la manualità , grazie all'insegnamento dei nostri genitori , anche quando andavamo a scuola e all' oratorio ci insegnavano a ricamare e cucire. Mi dispiace che quando guardavo i miei nonni ero troppo piccola, per apprendere le loro arti. Mi piacerebbe quando vengo in vacanza a Ceglie frequentare una scuola di artigianato, per me, ogni paese dovrebbe mantenere gli antichi mestieri, una volta spariti gli ultini maestri se non ci sono eredi, gli anziani porterano i segreti con loro, è un vero peccato.
RispondiEliminauando vado ai mercati e alle fiere compro sempre cesti fatti a mano.Un caro saluto a tutti
Pino, leggendo questo post mi è sembrato di essere presente alla scena. profonda riflessione la tua.
RispondiEliminaAggiungo che a Ceglie molti anni fà viveva Giovanni "ingiurijato" (sopranominato) di "Cacapanar",
la sua bravura gli permetteva di realizzare velocemente Panari e affini