domenica 8 maggio 2011

9 MAGGIO, GIORNATA DELLE VITTIME DEL TERRORISMO.


Tra Peppino Impastato ed Aldo Moro.



Da qualche anno si è voluto dedicare il 9 maggio alle vittime del  terrorismo, in ricordo soprattutto della morte di Aldo Moro “ucciso come un cane dalle Brigate Rosse” (per citare una frase che lo scrivente pronuncia nel film “I cento passi”). Un particolare sguardo va soprattutto ai magistrati uccisi, in considerazione del killeraggio sistematico e spietato che attualmente il capo del governo sta mettendo in atto contro chi ha osato denunciare le sue malefatte. Ma altre vittime del terrorismo occorre ricordare, dai morti della stazione di Bologna a quelli di Piazza Fontana, in un mostruoso progetto che, dalla fine degli anni 60 ha attanagliato l’Italia in una morsa mortale, dietro cui agivano in silenzio e con il massimo della copertura e dell’impunità neofascisti, piduisti, mafiosi, servizi segreti, partiti politici e altri violentatori della democrazia italiana. Tutto questo è passato e sembra appartenere a un altro mondo, a parte qualche cerimonia occasionale che ci ricorda molto ritualmente ciò che per altri è meglio rimuovere e dimenticare. Quello che non siamo riusciti a fare, malgrado le nostre proposte, è di associare, nell’occasione del 9 maggio, alle vittime del terrorismo, le vittime di mafia, ovvero le vittime di un terrorismo che ha ricoperto le strade d’Italia di bombe, attentati, omicidi a sangue freddo, incursioni di commandos specializzati nel seminare morte e distruzione. Cioè, ancora una volta, di associare Peppino Impastato ad Aldo Moro, entrambi morti nello stesso giorno ed entrambi vittime, da aspetti diversi, del terrorismo. Difficile trovare spiegazioni: Peppino è stato già individuato, a suo tempo, come terrorista, e riabilitato solo dopo un lungo e paziente lavoro di ricostruzione della sua immagine e del suo lavoro politico condotto dai suoi amici e dalla famiglia. Nulla a che fare tra l’extraparlamentare rivoluzionario e disturbatore della quiete pubblica, negli anni in cui, per vie stellarmente diverse, Aldo Moro cuciva con sapienti manovre la sua strategia di apertura a tutte le forze della sinistra. Peppino riteneva che il riformismo di Moro altro non fosse che un momento del consueto lavoro di ricomposizione e di rafforzamento delle forze dominanti a scapito dei bisogni dei lavoratori, o attraverso  tagli e sacrifici che avrebbero rafforzato il potere e chi lo deteneva. Peppino riteneva che il potere democristiano fosse “banditesco e truffaldino”, più o meno com’è oggi il potere berlusconiano. Moro pensava ad altre strategie non certamente di rottura, ma di “buon governo”  in cui alle forze progressiste si offriva la possibilità di essere coinvolti nello stesso disegno politico di avanzamento sociale della nazione.



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